Abstract
La sentenza n. 192/2024 della Corte costituzionale ha segnato una svolta nel dibattito sull’autonomia differenziata, imponendo una riflessione critica sulla compatibilità tra devoluzione di competenze e salvaguardia dei diritti. L’istruzione, collocata al crocevia tra esigenze di uniformità nazionale e spinte regionali, emerge come ambito paradigmatico: da un lato, la Corte ribadisce l’esistenza di un “nocciolo duro” di competenze statali, insuscettibili di differenziazione; dall’altro, lascia aperta la possibilità di trasferire specifiche funzioni, purché subordinate alla definizione dei LEP e coerenti con i principi di solidarietà e uguaglianza sostanziale. Attraverso l’analisi delle dimensioni interne del diritto all’istruzione, della distinzione tra “norme generali sull’istruzione” e “istruzione”, nonché delle bozze di intesa di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, alla luce del quadro normativo e interpretativo vigente, l’articolo si propone di verificare ciò che è effettivamente differenziabile in materia, evidenziando le molte ombre e le poche luci. La prospettiva adottata è quella di un regionalismo differenziato fondato sullo Stato delle Persone, ossia un modello ammissibile solo nella misura in cui risulti funzionale alla massimizzazione dei diritti dei cittadini all’istruzione.

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