Abstract
Pur non essendo un filosofo, lo scrittore e chimico Primo Levi aveva una mens filosofica e il gusto – che sentiva come un dovere dell’uomo in quanto tale – di chiedersi e cercare il perché delle cose naturali e degli eventi storici. Egli non si sottrasse alla ricerca il più possibile razionale nemmeno sull’esperienza traumatica, patita in prima persona, del campo di sterminio, rendendo oggetto di densa testimonianza e riflessione tale esperienza. Da ebreo laico, nel tempo sviluppò un crescente interesse culturale al giudaismo, da lui percepito e articolato essenzialmente come un umanesimo etico. Rivisitò la figura di Giobbe; riscrisse miti come quello di Lilith e del Golem; reinterpretò alcuni salmi e li adattò all’imperativo etico della memoria; rivalutò il codice halakhico noto come Shulkhan ‘arukh per esemplificare il «gioco disinteressato dell’ingegno [umano]».
Parole chiave: Primo Levi, Auschwitz, imperativo della memoria, umanesimo etico, tradizione ebraica
Although he was not a philosopher, the writer and chemist Primo Levi had a philosophical mind and the taste – which he felt was a duty of man as such – to seek explanations for natural things and historical events. He did not shy away from the most rational inquiry possible, even regarding the traumatic experience he personally endured in the extermination camp, making that experience the subject of dense testimony and reflection. As a secular Jew, he developed a growing cultural interest in Judaism over time, which he perceived and articulated essentially as an ethical humanism. He revisited the figure of Job; rewrote myths such as that of Lilith and the Golem; reinterpreted some psalms and adapted them to the ethical imperative of memory; and reassessed the halakhic code known as Shulkhan ‘arukh to exemplify the “disinterested play of [human] ingenuity.”
Keywords: Primo Levi, Auschwitz, imperative of memory, ethical humanism, Jewish tradition

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