La crisi del Kosovo e l'intervento della NATO, 2: L'azione della NATO nell'evoluzione della dottrina dell'intervento umanitario
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Come citare

Pretelli, I. (2021). La crisi del Kosovo e l’intervento della NATO, 2: L’azione della NATO nell’evoluzione della dottrina dell’intervento umanitario. Studi Urbinati, A - Scienze Giuridiche, Politiche Ed Economiche, 52(1), 061–135. https://doi.org/10.14276/1825-1676.1130

Abstract

Dopo aver ripercorso le tappe più significative della crisi che si è conclusa con l'azione armata dell'Alleanza atlantica, il ritiro delle truppe serbe dalla regione e la creazione di una sorta di protettorato sotto l'egida e il controllo delle Nazioni Unite*, la riflessione va ora ad una tra le questioni più significative ed urgenti che la crisi del Kosovo pone per il diritto internazionale: ci si domanda, infatti, se sia possibile sussumere l'azione bellica della primavera del 1999 sotto la fattispecie dell'intervento umanitario unilaterale, addentrandosi nella non facile questione relativa all'individuazione di una regola di diritto internazionale che possa giustificare azioni come quella della Nato nella provincia serba.

Le numerose difficoltà che, da sempre, si incontrano su questo tema, hanno portato la dottrina internazionalistica ad elaborare varie teorie, già esistenti in nuce, negli scritti dei primi internazionalisti, nessuna delle quali è riuscita a imporsi definitivamente. Questo non stupisca: la ricognizione e l'interpretazione degli eventi storici per estrapolarne una norma consuetudinaria rappresenta un faticoso tentativo di cavare la razionalità dall'esistente. Prendendo a prestito l'immagine hegeliana della nottola di Minerva, possiamo dire che anche la dottrina internazionalistica arriva, spesso, solo al crepuscolo, ossia al fait accompli e si trova di fronte a tutte le ambiguità e le contraddizioni intrinseche agli interventi umanitari che si sono susseguiti nella storia, riuscendo difficilmente, nella qualificazione dell'istituto, ad andare oltre a un chiaroscuro pieno di zone di ombra. Questo istituto, infatti, rasenta l' ossimoro, se non l'antinomia, in quanto abbina la coppia "uso della forza", vietato da una norma di jus cogens, e "diritti dell'uomo", protetti da un obbligo erga omnes.

Si è voluto, perciò, procedere con cautela e con ordine ed affrontare, in primo luogo, il problema della descrizione della fattispecie dell'intervento umanitario e, in secondo luogo, quello relativo alla sua disciplina. Inoltre, si sono prese in considerazione le varie dogmatiche sull'intervento,compreso il noto proclama di Tony Blair all'Economie Club di Chicago e la dottrina francese del "devoir d'ingérence", propugnata nella seconda metà degli anni '80 dall'attuale amministratore ONU in Kosovo, Bernard Kouchner.

La ricognizione proposta, è tenuta insieme da un filo rosso: la contrapposizione tra due concezioni della comunità internazionale che influenzano inesorabilmente la disciplina dell'intervento umanitario: l'una che, con espressione colorita, stigmatizza gli Stati come billiard ball e impone al diritto internazionale di disinteressarsi di ciò che vi accade all'interno, l'altra che tende alla realizzazione di una civitas maxima. La prima spinge a considerare illegittima ogni forma d'ingerenza, mentre la seconda arriva a giustificare diverse forme d'intervento in nome di interessi e valori universali, o come si dice comunemente "appartenenti alla comunità internazionale nel suo insieme". Tuttavia, quest'ultima concezione, per affrancarsi dalle accuse di eurocentrismo riferibili alla politica estera del diciannovesimo secolo, non sembra poter prescindere da un'organizzazione in senso istituzionale della comunità internazionale. Ciò porta ad affrontare un'ultima questione, non meno scottante, quella del ruolo dell'ONU stesso: se, infatti, la fine della guerra fredda e del bipolarismo lasciavano sperare che i meccanismi di San Francisco cominciassero a funzionare, gli sviluppi successivi sembrano, invece, andare nel senso di una progressiva estromissione delle Nazioni Unite dalla gestione delle crisi internazionali, e ciò non manca di porre più di un interrogativo. 

https://doi.org/10.14276/1825-1676.1130
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