Abstract
Il presente lavoro intende riflettere sul regionalismo al di là del regionalismo differenziato, attraverso una specifica visuale prospettica, quella processuale. Dalle dinamiche processuali, dai dati quantitativi del contenzioso costituzionale Stato-Regioni e dalla natura di esso, possono trarsi elementi utili per una riflessione sistemica. In sintesi, il giudizio costituzionale in via principale e con esso i ricorsi dello Stato e delle Regioni hanno raggiunto nel 2024 un dato sensibilmente più basso rispetto alla media degli ultimi 15 anni. Tale decremento quantitativo non può essere spiegato alla luce di una stabilizzazione giurisprudenziale ed ermeneutica intorno al Titolo V ma deve essere imputato alla progressiva affermazione di meccanismi di raccordo politico, in sede extra processuale, tra Stato e Regioni. Si tratta di meccanismi che il Governo, valorizzando la natura politica della scelta impugnatoria sottesa dal giudizio in via principale, ha tentato di procedimentalizzare, svelando una progressiva ricerca di un punto di equilibrio, fuori dal processo, che incide sul processo e sulla forma di Stato, pur in assenza di un quadro costituzionale idoneo a garantire effettive sedi di raccordo per le funzioni legislative. Tuttavia, l’emersione di tali profili impone una riflessione sia sulla natura di questa sorta di “contrattazione di legittimità”, e quindi sulla disponibilità non solo delle azioni processuali ma anche del parametro di legittimità, ossia della Costituzione, sia sulla necessità di tornare a riflettere in senso riformatore sull’individuazione di sedi costituzionali per il raccordo tra Stato e Regioni, nelle quali non siano coinvolti esclusivamente gli esecutivi.

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