Abstract
La lettura del bel libro di Pasquale Pantalone sulla “Crisi pandemica del punto di vista dei doveri” suscita diverse riflessioni.
Ho già avuto modo di considerare la portata dirompente del tempo pandemico nei riguardi di diverse categorie giuridiche e trovo che il libro di Pantalone presenti talune assonanze col mio pensiero, e sia pure fonte di ulteriore sviluppo e precisazione di alcuni passaggi argomentativi.
Il mio obiettivo principale è stato quello di studiare il diritto con un approccio filosofico diverso e per molti versi alternativo rispetto a quello che negli ultimi cinquant’anni almeno è stato il più praticato, cioè l’approccio della filosofia analitica. In particolare, ho provato a mettere in luce che molti caratteri del diritto amministrativo contemporaneo (pandemico e non) sono espressione del modello di governamentalità neoliberale descritto da Foucault, dell’idea cioè che il diritto è strumento dell’economia piegato alle logiche della stessa. È da vedere in ciò la ragione ultima dell’insistenza del legislatore e della cultura giuridica sulle dimensioni dell’efficienza e dell’efficacia dell’amministrazione, il ricorso alle “spinte gentili” in luogo degli ordini e dei divieti, la propensione all’utilizzo della soft law, il giudice che percepisce la norma come mezzo rispetto a un fine di cui si fa interprete e in forza del quale si distacca dalla legge o invade attribuzioni altrui. Al modello neoliberale ho opposto un ritorno al primato della sovranità popolare e dei suoi valori, dunque il principio di legalità in senso forte, la separazione dei poteri, il self restraint giudiziale, un ruolo reattivo e non proattivo del processo (il processo come luogo di soluzione di controversie, non di attuazione di politiche pubbliche), la rivendicazione di un ruolo autonomo e caratterizzante della scienza giuridica rispetto alle altre scienze sociali.
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