Abstract
Il saggio affronta il tema della tutela dei diritti fondamentali nell’ambito della disciplina delle interdittive antimafia, nella prospettiva della separazione dei poteri, evidenziando come l’assenza di una disciplina che delimiti, nei presupposti, l’applicazione delle misure preventive antimafia impedisce al giudice di esercitare un sindacato pieno ed effettivo. In particolare, dopo aver evidenziato i profili giuridici della disciplina preventiva antimafia che risultano disallineati sia alle garanzie costituzionali che presidiano la tutela della libertà personale, sia alle norme della CEDU, il lavoro si sofferma sulla presunta discrezionalità tecnica del potere del Prefetto, evocata dalla Corte Costituzionale (set. 57/2020) sulla base delle pronunce della giurisprudenza amministrativa, che, nel tempo, ha individuato una serie di comportamenti in presenza dei quali sarebbe legittimo presumere la sussistenza del pericolo giustificativo dell’applicazione della misura restrittiva. L’approccio seguito dalla Corte costituzionale viene sottoposto ad una revisione critica per giungere alla conclusione che il rapporto tra i poteri deve trovare legittimazione nella effettività dei diritti delle persone, la quale non può essere cedevole rispetto alla effettività del diritto pubblico senza che siano rispettate le garanzie costituzionali e della CEDU poste a presidio delle libertà fondamentali. In quest’ottica, si ritiene che il principio della full jurisdicition, invocata dalla dottrina per superare i limiti del sindacato giurisdizionale sul potere dell’amministrazione, potrebbe non essere sufficiente a garantire un controllo effettivo, in quanto il ricorso a tale “regola” sarebbe rimesso all’apprezzamento del giudice, il quale, nel caso delle interdittive, diversamente che in altri ambiti, appare, in molti casi, restio ad un controllo penetrante sulle misure prefettizie antimafia.
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