Abstract
L'opera e il pensiero di Arthur Schopenhauer hanno saputo ispirare molti di coloro che si sono dedicati alla ricerca filosofica. Appare suggestivo, per il panorama italiano del Novecento, trovare due autori molto differenti tra loro, come Teodorico Moretti-Costanzi e Piero Martinetti, che hanno entrambi trovato in Schopenhauer un maestro di pensiero. I due filosofi italiani, pur mantenendo una distanza siderale per il personale cammino di pensiero, possono essere colti in un inequivocabile sforzo di approfondire la dimensione del religioso nella filosofia e appare assolutamente originale come, in questo comune intento, entrambi trovino in Schopenhauer un riferimento ineludibile. Il filosofo tedesco infatti rappresenta meglio di altri autorevoli riferimenti colui che nel concentrarsi nella dimensione della fattuale realtà umana ha saputo cogliere come questa non possa pensarsi esaurita in se stessa ma, al contrario, viva tutta nel rimando ad una ulteriorità non determinabile e non conoscibile. Da questo assunto partono i percorsi di pensiero, che poi si articolano in maniera assolutamente differente, di Moretti-Costanzi e di Martinetti. E con Schopenhauer quindi i due filosofi italiani si devono confrontare. Per Moretti-Costanzi il confronto rappresenta un modo per avvalorare la propria lettura della realtà e per collocare Schopenhauer in una ascetica che certamente può rappresentare una lettura quantomeno originale del filosofo tedesco se non addirittura forzata. Martinetti si concentra su una considerazione più analitica e lineare del pensiero schopenhaueriano, cogliendo in esso tutti i contenuti che occorre porre in essere per fare filosofia in maniera alta, pura. Così Schopenhauer diventa una comune guida per fare filosofia per questi due filosofi italiani del Novecento, così distanti nel modo di incedere e forse così vicini nel voler tracciare un percorso di filosofia che punta in alto.