Le insidie del regionalismo “tecnico”

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Angiolini, V., & Magri, M. (2025). Le insidie del regionalismo “tecnico”. P.A. Persona E Amministrazione, 16(1), 1–16. Recuperato da https://journals.uniurb.it/index.php/pea/article/view/5443

Abstract

Da tempo il dibattito attorno al regionalismo sollecita il ripensamento di alcune premesse. Venute meno le grandi aspettative da cui aveva tratto ispirazione la dottrina degli anni ’70, da più parti si sollecita una profonda revisione dei presupposti culturali del diritto regionale. In questo quadro, accanto a opinioni che sottintendono l’imputazione alla politica del fallimento regionalista e continuano ad accreditare alla Costituzione un nucleo di princìpi capaci di riassumere un “modello di regionalismo”, non mancano voci scettiche verso l’idea di mantenere la problematica delle regioni ancorata a un “universale” autonomista, talora ricercato nel disegno o “patto” costituente: in una parola, da una “verità” che si presume inequivocabilmente situata nella Costituzione (vigente o da riformare).

Che il regionalismo non debba necessariamente essere ridotto a “tecnica” di attuazione della Costituzione, in nome di un certo ideale pluralista, ma possa vedere nella Costituzione un limite del pluralismo che spontaneamente e di fatto si produce nella società, è un’ottica sulla quale pare opportuno svolgere alcune riflessioni. Una tale prospettiva può condurre infatti ad esiti interpretativi diversi da quelli cui si perviene supponendo, come ha fatto ad es. la Corte costituzionale nella sentenza n. 192 del 2024, che nella Costituzione risieda un affresco del “regionalismo italiano”; un “sistema costituzionale” (che è venuto così a costituire il primo e fondamentale parametro della c.d. legge Calderoli).

Può quindi essere utile, anche per una corretta interpretazione e applicazione delle disposizioni costituzionali, non etichettare necessariamente come un’anomalia quel “pluralismo di fatto” verso il quale hanno, viceversa, mostrato diffidenza tanto le dottrine dello Stato regionale, quanto la letteratura della “delusione” o “disillusione” per gli approdi cui è pervenuta l’esperienza repubblicana.

Anziché continuare a interrogare presunti “universali” tratti dalla Costituzione (unità, società, autonomia, sussidiarietà), per desumerne conseguenze in ordine a quanto essi risultino realmente rispecchiati dall’andamento dei fatti politici e sociali, può essere proficuo muovere dalla contraria premessa che un “universale” è esattamente ciò che manca nella Costituzione italiana; e che in qualsiasi tentativo “teorico” e “tecnico” di sintesi tra unità e differenziazione, tra competizione e solidarietà (o altre consimili antitesi), si mescolano elementi di vero e di falso. Dietro a tutto ciò, la minaccia, sempre incombente, di ridurre il discorso sul regionalismo a un pluralismo solo “funzionale”, che in ultima analisi si presta facilmente alle sempre mutevoli strategie di primato dell’indirizzo politico del governo.

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