Abstract
È all’esame del Parlamento un disegno di legge rivolto (anche) alla abolizione del reato di abuso d’ufficio. La proposta si fonda, da un lato, sullo squilibrio tra le (numerosissime) iscrizioni della notizia di reato e le (ben più inferiori) decisioni di merito, che sarebbe indicativo del deficit di determinatezza della fattispecie penale in esame; dall’altro, sulla convinzione che l’ansia da responsabilità penale tenda a rallentare o paralizzare l’attività dei funzionari. Tuttavia, riflettendo sul legame tra abuso d’ufficio e discrezionalità amministrativa, si ha la sensazione che i continui interventi legislativi sull’art. 323 c.p. (così come le oscillazioni della giurisprudenza sulla portata applicativa di tale fattispecie penale) derivino dalla tendenza a considerare la discrezionalità (e le regole che la disciplinano) come una specie di pacchetto unico, per cui l’alternativa tende a essere “tutto o niente”, cioè estensione del sindacato del giudice anche sugli ambiti riservati alla p.a. oppure arretramento della protezione penale. Lungo questo orizzonte, lo scritto intende evidenziare come una considerazione più analitica e costituzionalmente conforme della discrezionalità amministrativa possa svelare un assetto capace di tenere salda la compatibilità dell’abuso d’ufficio con i principi penali di determinatezza e tassatività, e rappresentare così un’alternativa alla abrogazione dell’art. 323 c.p.
1 Il testo costituisce la rielaborazione, con alcune note essenziali, dell’intervento al convegno Il contrasto alla corruzione nella dimensione multilivello: un dialogo sulle nuove proposte di riforma in Europa e in Italia, organizzato presso UnitelmaSapienza, Roma, il 21 febbraio 2024.
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