Beni comuni: prospettive sostanziali e processuali

Abstract

La distinzione tra proprietà pubblica e proprietà privata, pur scolpita dell’art. 42 della Costituzione italiana, non sembra più adattarsi alla moderna coscienza sociale e all’emergente quadro assiologico ordinamentale. La logica dell’appartenenza e dell’esclusività è percepita da più parti come incompatibile con la necessità di garantire l’accesso diffuso a entità strumentali rispetto al libero sviluppo della persona: i beni comuni. Le sfide della modernità – in primis, lotta alle disuguaglianze e la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi - portano a domandarsi se, superando il binomio tra ciò che è pubblico e ciò che è privato, non sia possibile imboccare una terza via, che conduca a riconoscere alcuni beni (materiali o immateriali, naturali o umani) come accessibili a tutti, nell’ottica di un riconoscimento pieno ad ogni individuo del suo status personae. L’obiettivo del presente contributo è verificare quale sia lo spazio, alla luce del diritto positivo, per il riconoscimento della categoria dei beni comuni, tanto in una prospettiva sostanziale quanto in un’ottica processuale. Ci si interrogherà, in particolare, sulla possibilità di qualificare le res communes omnium come beni in senso giuridico, nonché sulla configurabilità, rispetto a ciò che dovrebbe essere comune, di situazioni giuridiche soggettive in capo al singolo uti civis. La prospettiva sostanziale, tuttavia, non potrebbe essere completa senza un esame delle possibili garanzie offerte dall’ordinamento sul versante processuale: ci si domanderà, pertanto, quali possibilità abbia la persona, individualmente o anche attraverso enti esponenziali, di azionare il processo, soprattutto alla luce della peculiare fisionomia assunta dalle condizioni dell’azione nel processo amministrativo.

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