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L’attenzione per le questioni riguardanti la scuola e la formazione può essere rintracciato nell’intera traiettoria della riflessione e della pratica politica di Gramsci: se ne trova traccia negli articoli giovanili, nonché in alcune esperienze pre-carcerarie di formazione degli adulti e, in modo esplicito, nelle pagine dei Quaderni. Nella letteratura riguardante le problematiche educative, le meditazioni gramsciane sul tema sono state talvolta affrontate attraverso una chiave settoriale poco propensa a inquadrarle nel complesso articolato della sua ricerca o a connetterle con la concretezza delle battaglie del militante e del dirigente di partito. Solo in alcune letture più recenti è stata individuata una “traducibilità” reciproca tra problema politico e problema (in senso largo) pedagogico, nonché l’idea che la riflessione sui processi formativi debba intendersi come interna alla filosofia della praxis e non quale sua appendice più o meno marginale. Si aprono, in tal senso, prospettive di ricerca tali da permettere interpretazioni capaci di gettare ulteriore luce su un passaggio del Quaderno 10 inserito in un testo significativamente intitolato Introduzione allo studio della filosofia. Qui, riflettendo sui modi in cui può formarsi una «volontà collettiva» su base permanente, e additando l’importanza, a questo proposito, della «quistione linguistica generale», Gramsci amplia lo sguardo alla pedagogia, assegnandole uno statuto pervasivo, tanto nel catalogo dei saperi quanto nello spazio-tempo delle relazioni sociali e territoriali, sino ad affermare che «il rapporto pedagogico non può essere limitato ai rapporti specificatamente “scolastici” […]. Questo rapporto esiste in tutta la società nel suo complesso e per ogni individuo rispetto ad altri individui, tra ceti intellettuali e non intellettuali, tra governanti e governati, tra élites e seguaci, tra dirigenti e diretti, tra avanguardie e corpi di esercito. Ogni rapporto di “egemonia” è necessariamente un rapporto pedagogico (Quaderno 10 II, § 44: QC, p. 1331).