Abstract
L’emergere di obiettivi che interessano l’intero Paese spinge spesso il legislatore a utilizzare la clausola «interesse nazionale» nelle disposizioni che procedimentalizzano l’agire pubblico. L’intenzione normativa è, così, quella di accelerare le decisioni e giungere più velocemente al risultato voluto: questo, a maggior ragione, quando esso conduce all’ottenimento di finanziamenti europei.
È questa anche l’intenzione del legislatore nel d.l. n. 77/2021, il quale, agli artt. 12 e 13, prevede l’attivazione di poteri sostitutivi e meccanismi di superamento del dissenso i quali, di fatto, rischiano di tradursi nella eliminazione di interessi pubblici, contrastanti con quello «nazionale», che ne ostacolano – o anche solo ne rallentano – la realizzazione.
I meccanismi così congegnati, però, presentano almeno due aspetti critici.
Anzitutto, non garantiscono il rispetto del «principio del risultato», laddove inteso quale corollario del «buon andamento»: attribuire un valore trainante a un solo interesse «nazionale» silenziando gli altri interessi pubblici con esso eventualmente contrastanti non significa giungere a una buona decisione amministrativa, la quale è invece – per sua natura – complessa.
In secondo luogo, essi spostano il centro decisionale dalle autorità amministrative a quelle politiche: sacrificando il potere amministrativo sull’altare dell’«interesse nazionale». Ne deriva una inevitabile esautorazione dell’Amministrazione dall’esercizio dei suoi poteri, sulla scia di un trend in ascesa.
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