Abstract
La scienza non conosce eresie, ma soltanto teorie: anche il più profondo dissenso è legittimamente ammesso e, anzi, proprio la possibilità che un'opinione del tutto minoritaria si imponga come nuovo paradigma scientifico è ciò che distingue la scienza dal dogmatismo. E in forza della propria capacità di fornire una neutrale ricostruzione dello stato delle cose, l'opinione scientifica si rende autorevole e, dunque, rilevante sia sul piano politico che su quello giuridico. Allo stesso tempo, l'ordinamento giuridico è sempre più teso verso il paradigma biopolitico: paradigma in cui il corpo umano diviene il terreno su cui si esercita il potere pubblico. Anche la tutela della salute degli individui si colloca in tale paradigma. Ma nel momento in cui l'ordinamento si fa carico del compito di promuovere la salute (individuale e collettiva) necessariamente esso deve delegare al sapere medico-scientifico parte dell'esercizio del suo potere. La definizione del rapporto salute/malattia (come le nozioni legali di vita e di morte) possono entrare nel circuito politico-giuridico solo attraverso la mediazione del sapere medico. Il paradosso provocatoriamente evocato nel titolo riguarda tale dipendenza delle scelte politico-giuridiche dal ruolo giocato dalla comunità medico-scientifica: un ruolo che svela l'inconsistenza dei presupposti teorici che ne avevano legittimato l'attribuzione. L'autorevolezza dei membri della comunità medico-scientifica deriva infatti dall'asserita neutralità delle loro opinioni, ma una volta che tali opinioni entrino nel meccanismo della coproduzione della scelta politico-giuridica svelano di non essere mai state tali, soprattutto quando – come oggi – su molte cruciali questioni bioetiche manca un consolidato paradigma scientifico. Il lavoro si propone di ricondurre nel terreno giuridico quelle acquisizioni ottenute nei vari filoni epistemologici raggruppati attorno all'idea post-positivista di una theory-laden observation: un'idea che critica ogni teoria del “puro dato”, minando alle fondamenta la contrapposizione – tutta moderna – tra fatto e norma. La prassi quotidiana, processuale come procedimentale, mostra con evidenza come sempre più questioni bioetiche siano risolte solo mediante l'adesione ad opinioni scientifiche che, tuttavia, non si sono ancora consolidate in uno stabile paradigma. Ma il diritto non ha strumenti per sindacare l'opinione scientifica: la modernità ha infatti costruito il sistema di tutela delle libertà costituzionali fondandolo su una distinzione tra fatto e norma che presuppone la neutralità dell'accertamento del fatto. Quando questo schema va in crisi, occorre ripensare radicalmente i meccanismi di tutela delle libertà individuali poiché di fronte ad una “decisione maggioritaria” della comunità scientifica non vi è alcun equivalente di una corte costituzionale. O, meglio, non ve ne sono più dopo che, giustamente, si è abolito il credo religioso come fonte di legittimazione del sapere scientifico, aprendo alla possibilità che il vuoto lasciato dalla tradizionale ierocrazia sacerdotale sia adesso - e sempre più incisivamente - riempito da una ierocrazia medicoscientifica cui il giurista (con tutto il suo armamentario teorico) non può che prestare fede. La pandemia ha portato a piena evidenza questo stato delle cose.
In science there aren't heresies, but only theories: even the deepest dissent is legitimately permitted because what distinguishes science from dogmatism is the opportunity for a isolated opinion to stand out as a new scientific paradigm.
Based on its capacity to provide a neutral world vision, scientific opinion becomes trustworthy and, therefore, legally and politically influential.
Meanwhile, the legal system is more and more directed to the biopolitical paradigm: a paradigm in which the human body becomes the field where public power is exercised.
Even healthcare legal protection resides in this paradigm. But when the legal system takes charge of the duty to support healthcare (individual and collective), it has to necessarily delegate to medical-scientific knowledge part of its power. The definition of the healthcare/illness relationship (like the legal notions of life and death) can enter the political-legal decision only through the mediation of medical knowledge.
The paradox recalled provocatively in the title is related to this link between political-legal choices and the role of the medical-scientific community: a role that discovers the inconsistency of the theoretical presuppositions that legitimized its attribution.
Indeed, the prestige of the members of the medical-scientific community derives from the supposed neutrality of their opinions; but when these opinions enter into the machinery of law-making, it appears they have never been neutral, especially if – as today – there is not a consolidated scientific paradigm regarding a lot of crucial bioethical topics.
The paper aims to bring the acquisitions achieved by various post-positivist epistemological tendencies linked to the theory-laden observation into legal field: an idea that criticizes every “pure date” theory, undercutting the modern law-fact distinction.
The daily routine – in the courts such as in the public administration procedures – shows more and more bioethical topics are solved only with accepting scientific opinions that have not yet become an undisputed paradigm. But the law does not have the instruments to criticize scientific opinions: the modernity has build the constitutional liberties' system founding it on a law-fact distinction that premises the neutrality fact and its assessment.
When this frame is in a crisis, we need to radically rethink the instruments of liberties' protection because there is nothing such as a High Court to use against a “majority decision” brought by the members of scientific community. In other words: since we rightly suppressed religious faith as the source of legitimation of scientific knowledge, we have opened the opportunity that the void left by the traditional sacerdotal hierocracy can be filled – now and with increasingly force - by a medical-scientific hierocracy in which the jurist (with all his formal knowledge) can only have faith.
The pandemic has clearly showed this situation.
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