Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. La posizione del lavoratore che rifiuta il vaccino e i profili di responsabilità del datore di lavoro

Abstract

Alcuni vaccini contro COVID-19 sono stati oggetto di autorizzazione all’immissione in commercio (cd. AIC) condizionata all’impegno, da parte delle aziende farmaceutiche richiedenti, di monitorare il medicinale e completare i dati relativi alla sua efficacia e sicurezza entro una certa data.
Detti vaccini devono essere considerati farmaci sicuri, in quanto le procedure comunitarie di autorizzazione semplificata dei medicinali sono comunque preordinate ad innalzare i livelli di tutela della salute.
Negli ambienti di lavoro, però, oggi, ad eccezione degli esercenti le professioni sanitarie e degli operatori d’interesse sanitario, nessuno può essere direttamente o indirettamente obbligato al trattamento di immunizzazione, se non per disposizione di legge adottata nei limiti del rispetto della persona umana.
Il livello della sicurezza che l’imprenditore è tenuto ad assicurare nei locali aziendali è dunque quello derivante dall’applicazione delle misure cristallizzate nei protocolli del 4 aprile 2020 (ora 6 aprile 2021).
Questo livello corrisponde alla massima sicurezza tecnologicamente possibile in una accezione costituzionalmente orientata.
In astratto, infatti, l’immunizzazione di ciascuna unità di personale sarebbe materialmente possibile e garantirebbe una più elevata protezione della salute negli ambienti di lavoro.
Tuttavia, in concreto, la stessa immunizzazione, secondo una lettura costituzionalmente orientata della normativa coinvolta (art. 2087 c.c. e art. 29
bis del d.l. n. 23/2020) è giuridicamente impossibile.

https://doi.org/10.14276/2531-4289.2876
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