Dialogo interreligioso, epistemologia analitica del disaccordo e alcuni modelli medievali

Abstract

Quando ci si riferisce al dialogo spesso si presuppone un contesto pubblico di discussione in cui sia necessario e urgente arrivare a un compromesso che assicuri un accordo tra i diversi interlocutori e che garantisca la pace sociale. Anche il dialogo interreligioso è prevalentemente concepito in quest’ottica, anche perché è nato storicamente nell’epoca moderna come tentativo di arginare la violenza derivante dalle guerre di religione. La prospettiva, invece, cambia se si considerano gli aspetti epistemologici del dialogo. Suggerisco di analizzarli a partire dalla cosiddetta epistemologia del disaccordo, sorta in ambito analitico. In questo contesto le diverse credenze religiose possono essere considerate legittime e il dialogo tra pari epistemici diventa fruttuoso al di là della convergenza delle opinioni. Dopo aver analizzato la posizione sul disaccordo religioso difesa da Helen De Cruz, mostrerò come essa può essere corroborata da ciò che è stato realizzato in alcuni scritti medievali. Prenderò in considerazione l’Utilità del credere di Agostino, L’inizio della retta guida di Al-Ghazali, il Perché un Dio uomo? di Anselmo, La guida dei perplessi di Maimonide e il Sulle ragioni della fede ad un cantore antiocheno di Tommaso. Questa analisi consente di individuare un paradigma medievale per il dialogo interreligioso interessante nel dibattito contemporaneo, in quanto capace di superare, da un lato, gli esiti violenti impliciti in un razionalismo che pretende di assolutizzare una verità religiosa rispetto alle altre e, dall’altro, gli esiti scettici di una posizione legata alla nozione di incommensurabilità. Rendere ragione della propria fede religiosa senza pretendere che il proprio interlocutore vi aderisca e impegnarsi in una conoscenza vicendevole che lasci in una condizione di disaccordo possono essere annoverati tra gli scopi del dialogo interreligioso.

https://doi.org/10.14276/2532-1676/3073
PDF