Abstract
L'articolo trae spunto da una recente sentenza del T.A.R. Lazio che, anche sulla base di precedenti pronunce della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, e attraverso l'analisi della natura dell'attività svolta dal professionista intellettuale, assimila quest'ultimo all'imprenditore. A tale risultato si perviene attraverso il riconoscimento della natura di impresa a qualsiasi soggetto che eserciti una attività economica, consistente nell' offerta di beni o servizi su un determinato mercato, verso un corrispettivo e con assunzione dei rischi finanziari connessi, a prescindere dal proprio status giuridico e dalle modalità di finanziamento. n tema è trattato tenendo conto di uno scenario - quello delle professioni intellettuali in generale e della professione forense in particolare - in frenetico movimento e intorno al quale fervono gli interventi, non solo giurisprudenziali, ma anche (e soprattutto) normativi, e coinvolge aspetti delicati quali la determinazione delle modalità di compenso del professionista, il modello di professionalità da perseguire in un contesto sociale sempre più legato a principi di libero mercato e "standard europei", la natura della prestazione, la struttura della professione e, di conseguenza, il dibattito sul carattere imprenditoriale (o non) di chi svolge attività professionale in genere. L'articolo si conclude con un breve raffronto con il modello statunitense, alla luce del diverso ruolo che storicamente l'avvocato ha svolto in quel tipo di società.L'opera è pubblicata sotto Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale (CC-BY)