Abstract
Contrariamente a quanto ritenuto dai primi editori e interpreti di Gramsci, l’espressione “filosofia della praxis” non è un semplice espediente al quale il prigioniero ricorre per non scrivere “materialismo storico” e aggirare così la censura carceraria, ma implica un profondo ripensamento del marxismo che si verifica nel corso della riflessione portata avanti nei Quaderni, anche se affonda le radici nello scritto sulla Quistione meridionale del 1926. Oltre a una ripresa del pensiero di Labriola (nel quale si ritrova già l’espressione “filosofia della prassi”), questa “revisione” della filosofia marxista implica non solo il definitivo distacco dal marxismo-leninismo, ma una “rottura epistemologica” rispetto ai precedenti scritti politici dello stesso Gramsci e, soprattutto, una nuova lettura dell’opera di Marx (con particolare riferimento alle Tesi su Feuerbach e alla Prefazione a Per la critica dell’economia politica), anche in relazione ai profondi rivolgimenti dello scenario politico internazionale tra la fine degli anni Venti e gli anni Trenta, che vede definitivamente tramontare la prospettiva della rivoluzione proletaria mondiale. Questo porta Gramsci ad approfondire i concetti di egemonia, intellettuali, stato, società civile, guerra di posizione, rivoluzione passiva, struttura e sovrastruttura, in una riflessione assolutamente originale che trova il suo punto d’arrivo nella costituzione del nuovo soggetto politico del mondo moderno, il partito.

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