Luci e ombre del contributo della giurisprudenza all’evoluzione del rapporto tra malattia (cronica) e lavoro

Abstract

Il saggio esamina in chiave critica l’evoluzione del rapporto tra malattia e lavoro, alla luce della crescente diffusione di patologie croniche che mettono in tensione le categorie giuridiche tradizionalmente utilizzate per inquadrare l’incapacità lavorativa. Dopo aver delineato un possibile inquadramento giuridico della malattia cronica, ancora priva di una disciplina organica, l’indagine si concentra su due ambiti centrali: da un lato, la sospensione del rapporto per incapacità temporanea, con particolare attenzione alla disciplina del comporto, all’istituto dell’aspettativa e alle recenti innovazioni introdotte dalla legge 18 luglio 2025, n. 106; dall’altro, l’inidoneità sopravvenuta alle mansioni, ai tempi o ai luoghi della prestazione lavorativa. L’analisi è fondata su un ampio e sistematico ricorso alla giurisprudenza più recente. In particolare, si ricostruisce l’orientamento consolidato che riconduce molte condizioni croniche alla nozione di disabilità ai fini dell’applicazione della direttiva 2000/78/CE, estendendo così i doveri datoriali in tema di accomodamenti ragionevoli. Il saggio mostra tuttavia i limiti di questa assimilazione, criticando l’equiparazione automatica tra prolungamento del comporto e accomodamento, e segnalando le persistenti insufficienze del quadro giuridico in relazione agli adattamenti diversi dalla modifica delle mansioni, specie in materia di orari e lavoro agile. Nelle conclusioni si propone un superamento dell’approccio meramente antidiscriminatorio, a favore di un paradigma più strutturale e preventivo, fondato sull’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c. e sul potenziale della contrattazione collettiva come sede di innovazione inclusiva dell’organizzazione del lavoro.

https://doi.org/10.14276/2531-4289.5165
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