Incontrare Dio nella nube oscura (Es 20,21). Alle sorgenti della mistica ebraica e cristiana

Abstract

Lo studio si propone di risalire alle sorgenti della mistica ebraica e cristiana mediante lo studio dell’interpretazione di Es 20,21 e della nube oscura, uno dei simboli privilegiati della tradizione mistica ebraica e cristiana. L’esegesi biblica, nutrita dall’antica tradizione ebraica, e i commenti di alcuni maestri della mistica ebraica (Filone di Alessandria, Nachman di Breslov) e cristiana (Gregorio di Nissa, Pseudo-Dionigi l’Areopagita, Giovanni della Croce) consentono di far intravedere il quid dell’esperienza mistica: il divino che irrompe nell’umano costituisce l’ossimoro per antonomasia, che scardina ogni umano pensiero. Tutto ciò, nella tradizione biblica ed ebraica, è ben sintetizzato dalla nube, in cui Dio si lascia incontrare rimanendo velato, dal Santo dei Santi, luogo vuoto in cui si manifesta la pienezza di Dio, e dal Nome divino che, pur consegnato all’uomo, rimane ineffabile. Nel Cristianesimo, tale dialettica di catafasi/apofasi – vera rivoluzione dell’ebraismo rispetto alle altre religioni – non viene scardinata, ma anzi raggiunge il suo culmine nell’incarnazione di Cristo, vertice della compenetrazione di trascendenza/immanenza e presenza/nascondimento divini. Ciò non è senza conseguenze per la filosofia: la teologia apofatica e la via eminentiae, con il loro anti-antropomorfismo radicale, demoliscono le obiezioni di chi, ricadendo nell’antropomorfismo, riduce l’idea di Dio a mera proiezione umana.

The study aims to trace the sources of Jewish and Christian mysticism through the inquiry into the interpretation of Ex 20:21 and in particular, of the dark cloud; one of the mystical tradition’s privileged symbols, both in Jewish and in Christian settings. Biblical exegesis nourished by early Jewish tradition, and by both the commentaries of some masters of Jewish (Philo of Alexandria, Nachman of Breslov), as well as Christian (Gregory of Nyssa, Pseudo-Dionysius the Areopagite, John of the Cross) mysticism, allow for a glimpse into the quid of mystical experience: the divine breaking into the human constitutes the oxymoron par excellence, that which unhinges all human thought. All this, in biblical and Jewish tradition, is well summarized: by the cloud, in which God allows himself to be met while remaining veiled; by the Holy of Holies, an empty place in which God’s fullness is manifested, and by the divine Name, which though delivered to man, always remains ineffable. In Christianity, the dialectic of cataphasis/apophasis as such, does not dissolve but reaches instead its culmination in the incarnation of Christ, the apex of the interpenetration of divine transcendence/immanence and presence/hiding. This is not without consequences for philosophy: apophatic theology and via eminentiae, with their radical anti-anthropomorphism, demolish the objections of those who, falling back on anthropomorphism, reduce the idea of God to mere human projection.

https://doi.org/10.14276/2532-1676/4329
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