Mistica ruvida. L’esteriorità oikologica e Stanislas Breton

Abstract

Partendo dal celebre invito che Wittgenstein lancia nelle Ricerche Filosofiche: «Siamo finiti su una lastra di ghiaccio dove manca l’attrito e perciò le condizioni sono in certo senso ideali, ma appunto per questo non possiamo muoverci. Vogliamo camminare; dunque, abbiamo bisogno dell’attrito. Torniamo sul terreno scabro!», l’articolo intende proporre un percorso verso la proposta mistica di Stanislas Breton, definendo tale mistica “ruvida”. Con questo aggettivo si vuole indicare che la proposta “mistica” del filosofo francese porta la mistica fuori dall’esperienza personale del mistico per cercare un suolo ruvido che offra alla mistica stessa l’attrito necessario perché essa sia un modo dell’abitare, e dunque uno dei modi possibili in cui si declina quella che sarà chiamata “oikologia”. E se la topologia è un pensiero che intende ogni dimensione dell’esistere alla luce del luogo e che trova il suo baricentro nel luogo prima che nella temporalità, un pensiero oikologico non si limiterà a parlare di luogo ma del modo in cui si sta nel luogo inteso come oikos, dimora. Oikologia significherà allora “essere interamente” in un luogo in quanto in questo luogo si vive, si cresce, si dimora. E se una topologia privilegia la dimensione spaziale della filosofia, l’oikologia privilegia meno tale dimensione per sottolineare il dimorare, per così dire, attivo. Perciò l’oikologia interrogherà lo spazio o il luogo a partire da chi nello spazio vive, ovvero: chi è abitando.

Posto questo senso dell’oikologia, la “mistica ruvida” sarà allora la mistica in quanto esperienza radicata in un suolo in cui si dimora e abita; o anche, sarà uno dei modi in cui si fa esperienza dell’abitare. E per quanto inusuale e forse stridente con l’eccezionalità dell’esperienza mistica possa sembrare, tale senso di “mistica” non è senza precedenti e, anzi, Stanislas Breton offre al suo chiarimento importanti indicazioni mostrando che la mistica, in quanto modo dell’abitare, è anche e innanzitutto affaire dell’esperienza umana. “Mistica ruvida”, infine, non è un lemma che Breton utilizza. Essa è tuttavia un’espressione che egli legittimerebbe e addirittura autorizzerebbe, data la sua proposta. Una legittimità che tuttavia va motivata e, a questo scopo, dopo essere partiti proprio da una suggestione di Breton, 1– saranno rapidamente esposti i tratti di quella che sarà chiamata “mistica non ruvida”, una mistica che è esperienza eccezionale del singolo, 2– per andare verso la proposta di un’esperienza dell’esteriorità oikologica che 3– a partire da Breton consentirà finalmente di motivare le ruvide ragioni a partire dalle quali si è scelto di parlare di “mistica”.

Starting with Wittgenstein’s challenge: «We have got onto slippery ice where there is no friction and so in a certain sense the conditions are ideal, but also, just because of that, we are unable to walk. We want to walk so we need friction. Back to the rough ground!», the aim of this article is to propose a path towards Stanislas Breton’s proposal about mysticism that we will define as “rough”. By this adjective, we will point out that the French philosopher’s proposal about mysticism takes this experience out of the personal experience of the mysticism in order to seek a “rough ground” that offers mysticism itself the friction necessary for it to be a way of dwelling, and thus one of the possible ways in which what will be called “oikology” is declined. And if topology is a thought that understands every dimension of existence in the light of place and that finds its centre of gravity in place before temporality, an oikological thought will not merely speak of place but of the way one is in the place understood as oikos, dwelling. Oikology will then mean being in a place insofar as in this place one lives, grows, dwells. And if a topology privileges the spatial dimension of philosophy, oikology privileges this dimension less in order to emphasise dwelling, so to speak, actively. Therefore, oikology will interrogate space or place from the point of view of who in space lives, that is: “who” is dwelling. Given this sense of oikology, “rough mysticism” will grasp mysticism as an experience rooted in a ground in which one dwells and inhabits; or even, it will be one of the ways in which one experiences dwelling. And as unusual this proposal may seem, such a sense of “mysticism” is not without precedent, and in order to explain it Stanislas Breton offers important pointers to its clarification by showing that mysticism, as a mode of dwelling, is also and first and foremost an affaire of human experience. “Rough mysticism”, finally, is not a lemma that Breton uses. It is, however, an expression that he would legitimise and even authorise, given his proposal. A legitimacy that nevertheless needs to be motivated and, to this end, after having started precisely from a suggestion by Breton, 1– the traits of what will be called “non-rough mysticism” will be quickly set out, a mysticism that is the exceptional experience of the individual, 2– in order to move towards the proposal of an experience of oikological exteriority that 3– starting with Breton will finally allow us to motivate the rough reasons from which we have chosen to speak of “mysticism”.

https://doi.org/10.14276/2532-1676/4327
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