Abstract
Nel 1976 lo storico delle idee e della scienza Paolo Rossi prese in considerazione un articolo di Mario Missiroli pubblicato nel 1919 sull’Ordine Nuovo nel quale si collocava la scienza - insieme all’intera dimensione superstrutturale della società - all’interno di un antagonismo irriducibile fra borghesia e proletariato. Per Missiroli, infatti, tale antagonismo doveva essere radicale e permanente, in maniera non storicistica e non dialettica: quasi in una prospettiva di classe-contro-classe, senza possibilità di mediazione sintetica. Altra sarà la posizione di Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti. Come sottolinea Rossi in Missiroli si può ravvisare la presenza di una riducibilità della scienza a ideologia, e come tale non assimilabile nei contenuti, nelle sue forme di produzione, di applicazione e di insegnamento da parte dei proletari; poi un rapporto strutturale e necessario fra scienza e autoritarismo; infine il carattere inevitabilmente non comunicabile delle teorie scientifiche in quanto irriducibilmente relative ai soggetti creatori, al limite del solipsismo e senza alcun valore conoscitivo liberatorio. Per Gramsci, invece, sebbene i proletari non fossero ancora in grado di sfidare la borghesia sul terreno più generale dell’alta cultura e della scienza, tuttavia, essi si preparavano ad assumere la scienza come parte della formazione di classe per sé, ovvero come personalità individuale e collettiva dotata di una coscienza che la proiettava in una dimensione mondiale attraversata da conflitti all’interno stesso dei ceti borghesi, che quindi non potevano proporsi come portatori di interessi universali. Questa degli ordinovisti, dunque, era una prefigurazione di un diverso “uomo”, caratteristicamente diverso da quello più diffuso e precedente alla apparizione del pensiero di Marx. Un uomo empiricamente universale che vedeva anche nella scienza un momento di liberazione.
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